
©Dominique Houcmant
Ascanio Celestini porta in scena al Teatro Vittoria Pueblo, il suo ultimo lavoro sui luoghi e sull’umanità ai margini: cassiere, magazzinieri e senzatetto in cui ognuno può identificarsi
Novanta ininterrotti minuti di concitata narrazione, un dialogo-monologo immaginario tra lui, Ascanio Celestini, e il suo coinquilino Pietro, un referente che risponde con la voce di un bambino e che in realtà sembra nascondersi nel corpo e nelle note di Gianluca Casadei che accompagna lo spettacolo con la sua musica, ma siamo anche tutti noi, spettatori che ascoltiamo rapiti questa storia di periferia. Al Teatro Vittoria fino al prossimo 29 ottobre, Ascanio Celestini presenta per Roma Europa Festival 2017 il suo Pueblo, seconda parte di un’ideale trilogia iniziata due anni fa con Laika e che riporta sul palcoscenico romano i non luoghi dei margini della città, personaggi carichi del loro vissuto passato e quotidiano e un Dio assente, questa volta impossibilitato a compere miracoli poiché sequestrato e chiuso in cantina dalle suore bastarde.
“Pietro, io non so niente di lei, ma se vuoi ti racconto tutto”
Così Celestini comincia a immaginare e raccontare la storia dei suoi personaggi e di Violetta, una giovane donna “ogni giorno un po’ meno giovane” che intravede dalla finestra del suo condominio guardando attraverso quella del palazzo di fronte. Violetta è una cassiera di un supermercato che vive con l’anziana madre e il ricordo dell’imponente figura del padre capace di fare ogni cosa, persino la pasta col tonno. Dall’alto del suo “trono” da cassiera sogna di essere regina di un reame popolato da numerosi personaggi disillusi e che ogni giorno fanno del loro meglio per trovare il loro posto nel mondo e dare un senso alla loro esistenza. Da qui prendono forma i personaggi della barbona Domenica che piano piano diventa la vera protagonista del racconto, di Said, magazziniere africano vittima delle slot machine, dello zingaro che fuma da quando aveva otto anni e della bella e stronza padrona del bar, tutte figure che compongono un universo di miseria, umana ed economica, ma in cui Celestini riesce mettere in luce gli aspetti più positivi, umani e poetici: l’amore, la dignità, la generosità e la solidarietà, valori e sentimenti che nobilitano la povertà e le condizioni disperate in cui molte, troppe persone sono costrette a (soprav)vivere. Il Pueblo di Ascanio Celestini nasce dalla sua immaginazione, anche se sia i protagonisti della sua storia che i luoghi che vivono come il supermercato, il bar, il magazzino, il mercato del Quadraro sono tutti pezzi di una realtà perfettamente riconoscibile e che la fisarmonica di Gianluca Casadei rende ancora più palpabile, vera.

Pueblo ©Piero Tauro
Narrazione e musica si fondono insieme per divenire racconto del popolo, di gente che abita le periferie urbane, ma anche quelle della condizione umana, racconto che apre scenari infiniti e tragici come lo sfruttamento degli extracomunitari, dei centomila migranti negri morti in mare, fino a che la Violetta che aveva aperto la storia ora ricompare per chiuderla, si accende la televisione e si mette fine alla finzione teatrale. Una finzione che tocca persone e problematiche vere come non mai e che dunque parla di un teatro semplice ed essenziale, fatto solo di note e parole che raccontano la VITA e donano esistenza a esseri umani emarginati e a luoghi anonimi. «Il teatro, o in generale l’arte – afferma Celestini – viene visto come divertimento o come contro-informazione. Io penso che debba interessarsi alla condizione umana»

Ascanio Celestini. Ritratto
Roma, 2013
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