
©Juan Zamora, The Homo Sapiens garden, 2016
Fino al prossimo 20 gennaio 2018 AlbumArte ospita il terzo appuntamento di Residenze, il ciclo di mostre sulle opere prodotte esclusivamente durante le residenze d’artista ed esposte per la prima volta in Italia. Residenze #3 mette in mostra la suggestiva ricerca di Juan Zamora sull’origine del linguaggio in relazione ai quattro elementi e al naturale ciclo di vita e morte
Viviamo freneticamente le nostre esistenze dando per scontati i mezzi che utilizziamo per comunicare con gli altri: il linguaggio del corpo, quello gestuale e soprattutto quello verbale fatto di suoni a cui associamo un preciso significato. Un’eredità acquisita da bambini, talmente naturale e scontata da considerarla parte di noi da sempre. Ma ci si domanda mai come tutto ciò abbia avuto inizio? Come avvenne che agli albori della civiltà l’essere umano sentì l’esigenza di comunicare con i suoi simili e cominciò ad emettere i primi suoni che furono all’origine del linguaggio? Durante la sua residenza alla Nirox Foundation di Johannesburg in Sudafrica, l’artista spagnolo Juan Zamora ha avuto l’occasione di sviluppare la sua ricerca artistica legata proprio all’origine dell’uomo in relazione alla natura e agli elementi che la compongono, favorito e stimolato dall’energia ancestrale di quel luogo dichiarato “culla dell’Umanità” in cui si ritiene sia nata la prima forma di linguaggio dell’Homo Sapiens, imitazione del rumore del cadere delle gocce d’acqua nelle caverne preistoriche.

photo ©Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte – Juan Zamora, A dead butterfly, 2014
Fino al prossimo 20 gennaio 2018 gli spazi di AlbumArte ospiteranno la prima mostra personale di Juan Zamora ORA (bajo al cielo de la boca) a cura di Paola Ugolini, che già nel titolo custodisce la sua riflessione sull’origine della parola che si forma e prende vita nel momento in cui la lingua tocca il palato, letteralmente “cielo de la boca”. Una riflessione dunque sulla nascita dell’espressione orale, punto di partenza per ogni organizzazione sociale, che si lega all’ambiente naturale in cui questa ha avuto luogo e a qualcosa di più mistico e spirituale evocato dall’incipit del titolo del progetto: “ORA” che certamente indica il tempo presente ma anche il verbo “pregare”, creando una stretta relazione tra gli albori della civiltà, il contesto naturale la pratica spirituale. Attraverso disegni, sculture e installazioni video, Juan Zamora sviluppa un poetica essenziale e simbolica in cui i quattro elementi di fuoco, acqua, aria e terra si intrecciano poeticamente agli altri elementi mutuati direttamente dalla natura come rocce, piume, aculei d’istrice, terriccio o piante in un dialogo delicato, semplice, ma al contempo molto efficace.

photo ©Sebastiano Luciano, courtesy AlbumArte – Veduta della mostra
Appena si entra nello spazio della galleria si è spiazzati dal vuoto che fa sembrare la sala enorme e sproporzionata rispetto alle opere che ospita e in cui si rischia di inciampare. Tuttavia è solo avvicinandosi ad esse che se ne percepisce tutta l’incredibile forza ed energia, quasi che tutto quello spazio fosse necessario a far emanare loro tutte le vibrazioni del luogo ancestrale da cui provengono e della potenza del loro essere essenziali e altamente simboliche. Le prime due opere Black Sun I e Black Sun II realizzate con piume di volatili e aculei d’istrice, sono dedicate al fuoco e dunque al sole concepito come elemento primordiale di ogni inizio, per poi proseguire con la bellissima e lirica A dead butterfly, ovvero una farfalla morta delicatamente adagiata sulla punta di una pietra di granito dalla forma che evoca chiaramente l’anatomia di una lingua, legando nuovamente il tema del linguaggio orale a quelli della natura e della morte. La dicotomia vita/morte è infatti sottilmente o esplicitamente presente in tutti i lavori in mostra, che siano essi disegni o acquerelli di prede e predatori, sculture o video, che siano dedicati all’acqua come la suggestiva installazione The Yellow font che proietta la propria ombra sul soffitto, o alla terra come la potente scultura The Homo Sapiens Garden costituita da un teschio rovesciato poggiato su una pietra, dal cui palato fiorisce simbolicamente una pianta, evocando poeticamente il fiorire dei primi suoni, delle prime parole associate ad un significato e quindi al fiorire della civiltà. Un percorso suggestivo e di grande impatto visivo che si conclude con un video che ancora una volta allude al tramonto della vita: l’ombra dell’artista proiettata su una pietra funeraria ancestrale accenna alla presenza effimera dell’Umanità, un’ombra che per quanto ci sforziamo di dimenticarlo, resta intimamente legata alla natura, ai suoi processi, alle sue ineluttabili trasformazioni.
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